l'anno in cui imparai a raccontare storie

L’anno in cui imparai a raccontare storie: autobiografia e fotografia

A proosito di L’anno in cui imparai a raccontare storie, ho una testimonianza diretta.
Qualche giorno fa una mamma è venuta a cerca dei libri di narrativa per il figlio di dieci anni.

Quando le ho chiesto cosa gli fosse piaciuto di recente, lei mi ha risposto che suo figlio ha parlato di L’anno in cui imparai a raccontare storie come uno dei più bei libri che avesse mai letto.

Lo posso confermare.

Ma mi ha fatto riflettere su quanto l’editoria dei ragazzi si adoperi per gigioneggiare, per inseguire il tema del momento e preparare storie preconfezionate quando poi vale una cosa regola.

La letteratura, quando è di qualità, conquista qualunque lettore.

L’anno in cui imparai a raccontare storie è un romanzo edito da Salani.
La scrittrice è Lauren Wolk e il traduttore è Alessandro Peroni.

Come per Melody, su L’anno in cui imparai a raccontare storie propongo un percorso di classe tra autobiografia e fotografia.

Se siete insegnanti, lavorate alle medie e praticate la scrittura, sicuramente saprete già quanto l’autobiografia sia un tema fondamentale per lo sviluppo di sé.

Su Melody avevo scritto giù un percorso per l’autobiografia in classe che trovate qui.

Prima di andare più a fondo con la proposta che di solito declino nelle classi tra autobiografia e fotografia, ecco la sinossi del libro.

La trama di L’anno in cui imparai a raccontare storie

Annabelle sta per compiere 12 anni e vive in un paesino rurale dell’America nel nord.

E’ il 1943 quando Annabelle impara che a volte è necessario mentire e lottare per arrivare alla verità.
Nel paesino dove ha sempre condotto una vita tranquilla arriva Betty, sua coetanea “dal cuore cattivo”.

Betty è quella che si dice essere una ragazza problematica e da subito non perde tempo a infastidire Annabelle e i suoi fratelli.

Quando però le cose prendono una piega pericolosa, la colpa ricade su Toby, un reduce della prima guerra mondiale che vive da eremita, solo e lontano da tutti, nei territori attorno alla fattoria di Annabelle.

La ragazzina e la sua famiglia non credono che Toby sia il responsabile ma la comunità non vede di buon occhio il diverso.
E per Annabelle inizia un processo di crescita e presa di consapevolezza che la porterà ad agire in nome della verità.

I temi di L’anno in cui imparai a raccontare storie

  • La paura dell’altro, sia quando è da temere sia quando non lo si conosce
  • Il bullismo
  • La guerra e le sue conseguenze
  • La resilienza
  • La scoperta di sé: verso se stessi e verso gli altri
  • Affrontare le avversità in solitudine e saper chiedere aiuto
  • La famiglia
  • L’empatia
  • Le parole e le conseguenze che hanno una volta pronunciate

E’ un romanzo intenso, ricco, di profonda sensibilità e allo stesso tempo accattivante grazie a quel pizzico di giallo che la trama riserva.

Apre a tematiche importanti, come le emozioni, l’empatia, la cattiveria umana.

E più di tutti, l’esplorazione di se stessi e del proprio io in rapporto agli altri.

E’ proprio a partire da questa osservazione che ho realizzato alcune proposte didattiche che possono rendere viva l’esperienza di lettura di questo libro.

1. Il gioco del “E se..”

Un famoso gioco di scrittura creativa che parte dalla domanda “Cosa sarebbe successo se…”

Se non avessimo vinto la Kodak, se i fiori di pesco quell’anno fossero stati meno belli, se Toby quel giorno avesse girovagato da un’altra parte, se dopo averlo visto fossi scappata via, se gli avessi detto di no, Toby non avrebbe mai imparato a fare le foto che faceva e, infine, non si sarebbe tenuto la macchina fotografica. Nè io l’avrei conosciuto come lo conobbi; né lui, me.
Se quel giorno le nostre strade non si fossero incrociate , ci saremmo risparmiati un bel po’ di guai…

Inventate nuove situazioni, nuovi finali, nuove posssibilità.

2. Il dibattito

Partendo da alcuni punti del libro si possono aprire occasioni di approfondimento e di confronto in classe, in cerchio.

Alcuni esempi:

– Betty è davvero cattiva nel profondo?
– Come è più giusto reagire davanti ad un compagno che minaccia?
– Perché Toby è un solitario (approfondimento sul concetto di disturbo post traumatico dovuto alla guerra)

L’obiettivo del dibattito è avviare una discussione, così da imparare ad argomentare, prendere una posizione, esprimere un pensiero.

3. L’autobiografia e fotografia: una suggestione

Toby mostra interesse per la macchina fotografica della famiglia di Annabelle e passa le sue giornate in giro con la Kodak a fotografare, si scopre in seguito, la natura.

Non ama farsi fotografare, perché attorno a Toby c’è solo mistero.

E però, prima di andarsene, lascia ad Annabelle un suo autoritratto:

del genere che avrebbe potuto concedersi Toby. La sua immagine, ma di seconda mano, trasfigurata dall’acqua.

La fotografia, riflessa in una pozzanghera, diventa l’unica traccia che Toby decide di lasciare di sé.

E da qui si parte a raccontare se stessi attraverso la fotografia, attraverso l’autoritratto, attraverso il selfie.

Si tratta di fare una riflessione (e il gioco di parole che strizza l’occhio alla fotografia ci sta tutto!) importante che va oltre la mera forma del selfie.

Auto-ritrarsi vuol dire scegliere quale rappresentazione dare di sè.

Il rapporto tra auotbiografia e fotografia è molto stretto e stimolante per una fascia di età più giovane perché mette in relazione diverse immagini.

Quella che i ragazzi hanno di sé, quella che vogliono dare, quella che pensano gli altri percepiscano.

L'anno in cui imparai a raccontare storie
Wesley Tingey via Unsplash

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